Neurochirurgia

Aggiornamento sulla chirurgia dell’ernia del disco

L’argomento ernia discale (ED) è più complesso di quanto oggi si è portati a credere. Ciò è dovuto in gran parte a fattori socio-culturali e di comunicazione. Si vuole una Medicina rassicurante e facile, rapida e priva di incertezze (quasi miracolosa). Pertanto, con un po’ di plaggeria, si costruiscono certezze infondate che vengono con disinvoltura fornite e accettate. Vi è un’offerta sempre più vasta e fantasiosa di metodi per “curare” l’ ED presentati come sicuri e risolutivi ma basati perlopiù su una banalizzazione concettuale del problema. Ecco, io vorrei richiamare a una maggiore severità metodologica per non perdere di vista il fatto che ciò che conta in medicina è l’inquadramento corretto dei sintomi e dei meccanismi di malattia. In definitiva la diagnosi corretta e la corretta indicazione terapeutica. Bisogna ricordare che la “malattia da ernia del disco” guarisce in maniera naturale nella maggioranza dei casi: basta aspettare da pochi giorni ad alcune settimane. Durante questo periodo può essere d’aiuto la terapia farmacologica e/o fisica (terapia manuale). Nei casi che non giungono a guarigione può essere indicato intervento chirurgico in base al grado di invalidità per il dolore lombare e radicolare, alla progressione dei sintomi, ai disturbi neurologici: questi ultimi sono costituiti, da parestesie (formicolii), perdita di sensibilità, perdita di forza, intorpidimento del piede, zoppicamento, inclinazione o piegamento in avanti della colonna. A questo punto il “gold standard” chirurgico è costituito dall’intervento microchirurgico che, effettuato correttamente in mani esperte, risolve il problema immediatamente ponendo fine al meccanismo di compressione esercitato dall’ernia sulle strutture nervose e realizzando, quindi, la guarigione della malattia e non la semplice interruzione del dolore. E’ però necessario, prima di giungere all’intervento, indagare meticolosamente che non vi siano altri fattori che interferiscono nel meccanismo di malattia come problemi di instabilità vertebrale, o di microinstabilità (più difficile da evidenziare), di scoliosi in fase di scompenso, di faccette articolari, spondilolistesi, stenosi, artrosi, osteoporosi, cedimenti vertebrali, asimmetrie di carico e di appoggio etc. Queste condizioni possono produrre disturbi che si confondono con l’ED o ne integrano l’azione patogena rendendo dunque inutile, o solo parzialmente utile l’intervento, ed essendo esse stesse causa o concausa di ernie discali: ecco perché qualcuno dice “tanto l’intervento non serve”. In particolare l’instabilità vertebrale può essere concausa di ernia del disco o di recidiva post-operatoria. E’ opportuno che in certi pazienti, venga eseguita, oltre alla RMN, una RX dinamica che può far rilevare una condizione di microinstabilità. Questa può essere corretta, contestualmente al microintervento chirurgico per ernia discale, mediante il semplice posizionamento di uno spaziatore o fissatore interspinoso superficiale ovvero, in casi evidenti di instabilità mediante stabilizzazione con apposite viti vertebrali. Con ciò si completa l’effetto dell’intervento prevenendo l’eventuale recidiva da instabilità Si evitano così quei periodi di frustranti prove terapeutiche con metodiche percutanee al di fuori di qualunque criterio finalizzato. Infatti l’intervento risolutivo non può che essere quello che corregge il problema meccanico e cioè una stabilizzazione vertebrale che in alcuni casi può essere fatta anche per via percutanea solidarizzando le due vertebre contigue al disco mediante il posizionamento di barre e viti attraverso la cute.